
Con questo memoir in frammenti Belcourt traccia la propria storia personale nel tentativo di riconciliarsi con la realtà in cui è venuto al mondo. Inaugurate da una lettera a nôhkom, la nonna con cui l’autore è cresciuto nella riserva della Driftpile Cree Nation, in Canada, queste meditazioni ci invitano a esplorare la realtà di un’esistenza queer e il mondo spezzato in cui le popolazioni indigene ogni giorno si muovono. Belcourt ce ne illustra le contraddizioni, svela i soprusi subiti per mano dei colonizzatori e valorizza la gioia che, ciononostante, continua a sbocciare. Tra prime infatuazioni e delusioni amorose, sperimentazione sessuale e desiderio d’intimità, scopre nella scrittura uno strumento per sopravvivere ed elaborare la propria complessità. Storia del mio breve corpo non è solo una profonda riflessione su memoria, genere, rabbia, vergogna ed estasi, ma anche un viaggio emotivo che apre gli occhi su una realtà troppo spesso dimenticata e uno sguardo ottimista verso il futuro delle popolazioni native. Mettendosi a nudo con incredibile sincerità, tramite una scrittura lirica e originale, Belcourt si posiziona al centro di un fitto dibattito letterario sulle sfaccettature dell’identità nordamericana contemporanea avviato da autori quali Ocean Vuong, Claudia Rankine e Tommy Orange.

Questo è il genere di libro di cui concludo la lettura senza sapere se ho letto un pessimo libro o se sono io a non essere abbastanza intelligente o informata da avere gli strumenti opportuni per capirlo. Forse è proprio un mix di queste due mancanze, da parte mia e da parte di Billy-Ray Belcourt, a non avermi convinta del tutto.
Per quanto riguarda le mie mancanze, sicuramente io faccio fatica a capire queste personalità così immerse nella loro arte da richiedere una pari immersione da parte dellə lettorə: durante la lettura ho bisogno di trovare e seguire il bandolo della matassa e qui non l’ho trovato, finendo per perdermi. Inoltre, le tematiche del libro probabilmente richiedono una conoscenza della società canadese che io non ho: ho solo una vaga – vaghissima – idea della storia deə nativə canadesi e penso di essermi persa molto significato a causa di questa mia ignoranza.
Per quanto riguarda, invece, le mancanze che ho trovato nello stile di Belcourt confesso di essere rimasta folgorata dal suo sguardo sulle questioni che tocca (il colonialismo, l’esistenza come persona queer e nativa, il capitalismo…), ma la potenza del suo punto di vista viene alquanto smorzata dal modo in cui è espressa. Qua, secondo me, emerge con prepotenza il fatto che Belcourt sia un poeta: infatti, certi affermazioni fulminanti, capaci di rivoltare il modo in cui di guarda a una questione, non vengono sostenute da un approfondimento che nella prosa è necessario per non farle rimanere appese in un cielo vuoto. Sarebbero degli ottimi versi, ma in questa prosa perdono forza e svaniscono in fretta, lasciando un senso di insoddisfazione.
Consiglierei dunque Storia del mio breve corpo? Non lo so: gli assegnerò le tre stelline politiche di quando non capisco cosa ne penso di una lettura. Sicuramente, se vi ispira, non fatevi influenzare dalla mia opinione – cosa che vale sempre, ma di più nei casi in cui sono la prima a non aver capito un libro. Penso, però, che, se mi capiterà tra le mani, leggerò volentieri un libro di poesie di Belcourt.




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