L’importanza di questa riflessione a tutto campo su un’organizzazione sociale ed economica in grado di integrare non solo città e campagna ma anche lavoro manuale e intellettuale sta certamente nell’aver anticipato di oltre un secolo molti dei problemi con cui ci confrontiamo oggi, ma ancor più nell’aver dato risposte concrete che si dimostrano tuttora praticabili. Dietro le soluzioni proposte da Kropotkin, che sfidano con ironica semplicità il pensiero totalitario e la sua costruzione piramidale dello spazio e dell’immaginario sociale, c’è infatti una concezione libertaria dell’uomo e del vivere in società che delinea i contorni di una civiltà ecologica quanto mai urgente dopo il dissennato saccheggio del mondo (e dell’animo umano) cui abbiamo assistito. Come ben evidenzia Colin Ward nel suo ingegnoso lavoro di attualizzazione della visione kropotkiniana, la forza di questo classico anarchico sta nel fornirci gli strumenti teorici e pratici che ci consentono di prefigurare una società più equa e sostenibile, capace di riappropriarsi del suo futuro.

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Innanzi tutto vi avverto che questa edizione non è integrale, ma è stata sforbiciata di tutte le parti che snocciolavano dettagli dell’economia di fine Ottocento che per ə lettorə modernə potrebbero essere pesanti: Colin Ward, che ha curato l’edizione, ha quindi reso il testo più agile e ha aggiunto il suo commento a ogni capitolo. Generalmente non sono felice di scoprire di aver acquistato una riduzione a mia insaputa, ma, considerando che già così contiene molti dettagli dell’economia di fine Ottocento che oggi probabilmente interessano solo ə studiosə, non mi sento particolarmente defraudata del mio diritto di avere tra le mani un’opera integrale.

È che a Kropotkin piaceva molto fare esempi concreti a supporto delle sue tesi, a differenza di molti economisti suoi contemporanei (e, aggiungerei, anche contemporaneə a noi), che se ne stavano ben lontani dalle fabbriche e dai campi dei quali amavano disquisire. Il che, oggi come allora, faceva sì che uscissero fuori delle considerazioni che poco avevano a che fare con la realtà del lavoro. Alzi la mano a chi è capitato che qualche oscura legge o oscuro regolamento abbia finito per complicare una situazione lavorativa senza alcun motivo.

Cosa aveva visto invece Kropotkin girando per fabbriche e campi? Aveva visto che le grandi fabbriche, con i loro grandi macchinari, avevano portato ə operaə a diventare inservienti di una singola macchina: ripetere all’infinito la stessa identica mansione, sempre nello stesso modo, comportava uno spreco di potenziale umano perché nella ripetizione standardizzata degli stessi gesti e dello stesso output la creatività e l’inventiva umana andava totalmente perduta. Uno spreco che si va ad aggiungere a quello delle risorse che ormai conosciamo molto bene.

Auspicando un ritorno alla dimensione più umana grazie all’intuizione delle enormi possibilità di condivisione delle conoscenze tecnico-scientifiche data dalla diffusione dell’energia elettrica e delle nuove forme di comunicazione, Kropotkin immaginava piccole comunità dove campi e fabbriche erano interconnesse grazie alla possibilità di ottimizzare sia i processi di coltivazione sia quelli di produzione in modo che persone diverse svolgessero (e sapessero svolgere) diversi compiti, cosa che sarebbe risultata anche in una suddivisione più equa del carico di lavoro e un maggior tempo libero per tuttə.

Kropotkin era un grande fan della scienza come portatrice di un’innovazione in grado di migliorare la vita delle persone e dell’istruzione come mezzo tramite il quale migliorare la propria condizione. Oggi guardiamo al suo ottimismo con un certo scetticismo perché siamo spaventatə da queste intelligenze artificiali che sembrano tutto tranne che intelligenti e l’istruzione, a meno di non venire dalla famiglia giusta, ha perso la sua capacità di migliorare la vita delle persone.

Parte di questo problema per Kropotkin derivava anche dalla rigida suddivisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale che diventava solo prerogativa di una classe privilegiata sempre più incapace di innovazione a causa della sua lontananza da ciò che dovrebbe innovare. Con l’aggravante di ritenere il lavoro manuale sempre più indegno e considerando la possibilità di delegarlo il più possibile come un segno di prestigio: finendo così per creare un sistema inefficiente, altamente stressante e insoddisfacente.

A tutto ciò Kropotkin propone degli interventi abbastanza ragionevoli (per intenderci, non è Bakunin che vuole demolire tutto) e Campi, fabbriche, officine quasi non sembra un testo anarchico, perché l’unica rivoluzione voluta sembra essere quella di mettere al centro del sistema uno sviluppo umano delle comunità umane.

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Valutazione del libro: tre stelline gialle

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