Buon lunedì, prodi seguaci!🧹

Questo mese mi sembra durato un anno e mezzo, spero che agosto andrà meglio… Intanto ho iniziato a leggere Il movimento femminista in Italia di Fiamma Lussana, approfittando del fatto che il caldo torrido dovrebbe darci una breve pausa da queste parti. Eccovene un assaggio!

Paestum suggella una sconfitta: dopo la prima, variegata stagione della pratica del fare, che ha segnato una nuova modalità di azione e partecipazione delle donne nel mondo esterno, che ha rotto lo schema chiuso dell’autoriflessione spalancando impreviste vie di autorealizzazione femminile, il movimento di impantana riproducendo al suo interno il meccanismo soffocante del trionfo di poche e del silenzio della maggioranza. La metafora della “donna muta” pesa come un macigno che intrappola le donne nelle due strade parallele che ora sembrano inesorabilmente divise: quella della rivendicazione, emancipazione, autoaffermazione e quella della ben nota, secolare incapacità di parola. Merito del convegno di Paestum è di mettere nero su bianco questa contraddizione. Per risolverla si sarebbe dovuta analizzare l’unica vera possibilità di uscire dal quel vicolo cieco: riuscire a dare espressione simbolica a un autonomo pensiero femminile. Ovvero “sessuare” il mondo esterno, spezzare la pacifica, mortificante neutralità dei rapporti sociali esistenti che schiacciano la differenza sessuale e dare legittimità all’autonoma capacità di espressione delle donne. Non bastano la coscienza individuale della propria sofferenza, lenita dall’abbraccio sororale del piccolo gruppo, né la rivendicazione ostentata dei propri diritti negati o una pratica del fare che dia spazio alla libera creatività femminile: il movimento femminista non farà un passo avanti se non riuscirà a far valere nella società e nella storia la conoscenza e l’esperienza delle donne.

La “donna muta” non si sente legittimata a dire la sua e riconosce diritto di parola solo all’uomo o alle sue simili che all’uomo fanno il verso e sanno imporsi sugli altri e sulle altre. È un essere subalterno. “Possono i subalterni parlare?” È la celebre domanda che si è posta vent’anni fa Spivak, la filosofa di origine bengalese che ha raccolto e arricchito la riflessione storiografica dei ‘Subaltern Studies’ con il discorso filosofico. Per Spivak i subalterni non sono solo i poveri, i diseredati, i nullatenenti, sono anche gli emarginati, i vecchi, le donne. Sono tutti quelli su cui si è esercitata e continua a perpetrarsi quella che la filosofia indiana chiama «violenza epistemica», ovvero una violenza che non riguarda solo la mancanza di mezzi di sostentamento, ma anche la mancanza di un riconoscimento simbolico e culturale. I subalterni sono di due tipi: quelli che non hanno pane e quelli che hanno interiorizzato la loro soggezione, imposta dalla tradizione e dai modelli culturali prevalenti. Subalterni per fame e subalterni per cultura. In entrambi i casi i subalterni sono ridotti al silenzio. Come la “donna muta”, non parlano. Ma se si riuscirà a dare valore al libero e autonomo pensiero delle donne, a fare in modo cioè che la voce femminile diventi moneta corrente al pari di quella dell’uomo che da sempre è riconosciuta e accreditata, le donne impietrite e autocensurate finalmente parleranno.

Copertina de Il movimento femminista in Italia di Fiamma Lussana: raffigura un festone di carta a forma di donne che si tengono per mano.

Una storia del movimento femminista italiano non è stata mai scritta. Il motivo principale di questa lacuna storiografica è che la maggior parte dei gruppi, sorti nel nostro paese fin dalla metà degli anni sessanta, ha scelto la reticenza, l’anonimato, una memoria non detta. Colmare questo silenzio è possibile oggi grazie ai Centri di documentazione e di ricerca sulla storia delle donne. Il volume ricostruisce le ragioni e il percorso del femminismo all’interno della storia del nostro paese ricomponendo la vita dei diversi gruppi à partire dalle contraddizioni dell’Italia post-miracolo fino alla svolta degli anni ottanta e novanta quando, dopo la cupa stagione degli anni di piombo, il femminismo si ripensa e cambia rotta.

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