Buon lunedì, prodi seguaci!

Se non fosse per le tenere foglioline sugli alberi, direi che siamo tornati in autunno: un mix di mezze stagioni che sembra fatto apposta per la lettura de I Quaranta Giorni del Mussa Dagh di Franz Werfel, che mischia speranza e disperazione, fratellanza e genocidio. Questo romanzo, infatti, racconta di come cinquemila armeni nel 1915 riuscirono a resistere proprio sul Mussa Dagh all’impero ottomano, finché i superstiti non furono salvati da una nave francese.

Il 24 aprile si commemora il ricordo del genocidio armeno: se vi va di leggere qualcosa in tema, I Quaranta Giorni del Mussa Dagh potrebbe essere il romanzo che state cercando: bello corposo e capace di donarci tutta la complessità umana al di là del noi vs loro.

Questa volta Enver Pascià ha ascoltato non solo con l’abituale attenzione, ma con vera curiosità. Senonché Lepsius si trova ora di fronte a qualcosa che non ha ancor veduto e udito. Non una crudeltà beffarda, non un cinismo muta l’espressione fanciullesca del volto del generale. No, Lepsius vede il viso glaciale dell’uomo che ha “superato ogni sentimentalità”, il viso dell’uomo che sta di là dalla colpa e dai suoi rimorsi, vede il grazioso volto di precisione di una specie a lui sconosciuta ma che gli toglie il respiro, vede l’ingenuità inquietante, quasi perfino innocente, della perfetta empietà. E quale forza possiede, se non si può neppure odiarla!

«Le sue stimabili intenzioni m’interessano,» dice Enver in tono di considerazione, «ma naturalmente devo respingerle. Codesti suoi desideri appunto mi mostrano che finora ci siamo fraintesi. Se io concedo ad uno straniero di recare aiuto agli Armeni, creo con ciò un precedente, che riconosce l’intromissione di personalità straniere e quindi di potenze estere. Vengo così ad annullare tutta la mia politica, che dovrebbe insegnare alla millét armena quali siano le conseguenze dell’aspirazione ad una intromissione straniera. Gli Armeni non si orienterebbero più. Prima io punisco i loro sogni e le loro speranze colpevoli d’alto tradimento, poi mando loro uno dei loro amici più influenti per ridestare queste speranze e questi sogni. No, mio signor Lepsius, questo è impossibile, io non posso concedere che degli stranieri benefichino questa gente. Gli Armeni debbono vedere soltanto in noi i loro benefattori.»

Il pastore cadde sulla sedia. Tutto è perduto! Fallito! Ogni altra parola è superflua. Almeno quell’uomo fosse malvagio, pensa con desiderio, almeno fosse Satana. Ma non è malvagio e non è Satana, è simpatico come un fanciullo, quel grande inesorabile assassino di moltitudini.

In questo romanzo rivive la gloriosa e indomita resistenza opposta alle soverchianti forze turche, tra il luglio e il settembre 1915, da cinquemila armeni rifugiatisi sul massiccio del Mussa Dagh, a nord della baia di Antiochia. Vero poema in prosa esso è considerato la più matura creazione nel campo della narrativa dello scrittore austriaco.

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