Buon lunedì e buona festa dei papà, prodi seguaci!

Sono ancora alla prese con La campana di vetro di Sylvia Plath per LiberTiAmo e mi sta piacendo tantissimo: Plath ha la capacità di farti intravedere il lato marcio della società, ma senza svelarlo. In questo modo, riesce a suscitare una grande inquietudine e il desiderio di indagare quanto di quel marcio abbia toccato anche noi…

Sullo scrittoio c’era una fotografia in una cornice d’argento collocata per metà verso di lui e per metà verso la mia poltrona di pelle. Era una fotografia di famiglia: una donna bella e dai capelli scuri, che avrebbe anche potuto essere la sorella del dottore, sorrideva tra le teste di due bimbi biondi.

Uno dei bambini, credo, era un maschietto e l’altro una femminuccia, ma forse erano tutti e due maschi oppure tutte e due femmine. È difficile capirlo quando i bambini sono tanto piccini. Ci doveva anche essere un cane nella fotografia, verso il basso, una specie di Airedale o un cane da presa focato – ma forse era solo un disegno sulla gonna della signora. Non so perché, la fotografia mi rese furibonda. Non capivo perché dovesse essere voltata a mezzo verso di me a meno che il dottor Gordon non cercasse di farmi sapere subito che era sposato con una splendida donna ed era bene quindi che non mi facessi illusioni.

Poi pensai: possibile che questo dottore mi possa in qualche modo aiutare, lui, che ha una bellissima moglie e due bellissimi bambini e un bellissimo cane, che lo cingono di un’aureola come gli angeli di una cartolina natalizia?

In un albergo di New York per sole donne, Esther, diciannovenne di provincia, studentessa brillante, vincitrice di un soggiorno offerto da una rivista di moda, incomincia a sentirsi “come un cavallo da corsa in un mondo senza piste”. Intorno a lei, sopra di lei, l’America spietata, borghese e maccartista degli anni Cinquanta. Un mondo alienato, una vera e propria campana di vetro che schiaccia la protagonista sotto il peso della sua protezione, togliendole a poco a poco l’aria. L’alternativa sarà abbandonarsi al fascino soave della morte o lasciarsi invadere la mente dalle onde azzurre dell’elettroshock. Pubblicato nel 1963, un mese prima del suicidio dell’autrice, La campana di vetro è l’unico romanzo di Sylvia Plath. Fortemente autobiografico, narra con stile limpido e teso e con una semplicità agghiacciante le insipienze, le crudeltà incoscienti, i tabù assurdi capaci di spezzare qualunque adolescenza presa nell’ingranaggio stritolante di una normalità che ignora la poesia.

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