Buon lunedì, prodi seguaci!
Siamo già a metà mese e da ormai diversi giorni con la lettura mi trovo per porti e per mare con gente poco raccomandabile: mi sono lanciata nella lettura de La vera storia del pirata Long John Silver di Björn Larsson con aspettative non altissime perché mi sono capitati sotto gli occhi diversi pareri poco entusiasti. Per ora mi sta piacendo, è una lettura scorrevole, anche se non priva di difetti.
«Affare fatto!» dissi a Pierre Le Bon, come lo chiamavano. «Ci sto. Ma a una condizione.»
«Quale?» domandò, curioso.
«Che non sarò obbligato a recitare il benedicite.»
Pierre Le Bon non era così timoroso di dio da non lasciarsi andare a una di quelle spaventose risate che gli facevano sobbalzare la barba.
«Credo che questo non te lo rifiuterà nessuno», disse.
E infatti così fu. Al contrario, quando tornammo al campo e Pierre annunciò la novità, come se si trattasse della nascita di un primogenito, tutti vennero a congratularsi con me e a darmi una pacca sulle spalle, con un sorriso da un orecchio all’altro. Se negli ultimi tempi non fossi stato troppo occupato a riprendere le forze e a rimettermi in salute, avrei forse potuto accorgermi che non tutto andava per il verso giusto. Capita di rado, a mia esperienza, tra persone che sono costrette a giurarsi fedeltà reciproca, finché morte non le separi o come se non dovessero morire affatto, per poter vivere insieme.

Ci sono libri che danno pura gioia, facendo vibrare dentro di noi tutte le corde del nostro amore per la lettura: il racconto trascinante unito a temi che ci toccano nel profondo, la suspense e l’avventura e un sottile gioco letterario che stimola la nostra complicità, una documentata ricostruzione storica e il fascino di personaggi più grandi del reale, nati già immortali. È quel che capita con il romanzo di Björn Larsson: ci ritroviamo adulti a leggere una storia di pirati con lo stesso gusto dell’infanzia, riscoprendo quella capacità di sognare che ci davano i porti affollati di vascelli, le taverne fumose, i tesori, gli arrembaggi, le tempeste improvvise e le insidie delle bonacce, come anche il semplice incanto del mare e la sfida libertaria di ribelli contro il cinismo dei potenti. In più con la sorpresa di vederci restituito, in tutta la sua ambigua attrazione e vitalità, uno dei personaggi che davano a quell’infanzia l’emozione della paura: chi racconta in prima persona è Long John Silver, il temibile pirata con una gamba sola dell’Isola del Tesoro, fatto sparire da Stevenson nel nulla per riapparirci ora vivo e ricco nel 1742 in Madagascar, intento a scrivere le sue memorie. E non è solo a quell’“e poi?” che ci veniva sempre da chiedere alla fine delle storie che risponde Larsson, è al prima, al durante, al dietro: com’era il mondo all’epoca della pirateria, i legami con il commercio ufficiale, la tratta degli schiavi, il contrabbando, le atroci condizioni dei marinai, i soprusi dei capitani, il codice egualitario dei pirati, le loro efferatezze e quelle contro cui si ribellavano, le motivazioni e le ingenuità dei grandi “gentiluomini di ventura”. Ma è a un personaggio letterario che è affidato il compito di rivelare la “verità”, un personaggio cosciente di esistere solo nelle parole, che dialoga in un pub di Londra con Defoe fornendogli notizie per la sua storia della pirateria, che risponde a Jim Hawkins dopo aver letto L’Isola del Tesoro, e che, in quel continuo gioco di rimandi, indaga sul rapporto tra realtà e invenzione, sete di vivere e bisogno di immortalità, solitudine e libertà, con la consapevolezza che non esiste altra vera vita di quella che raccontiamo a noi stessi.


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